I protagonisti di Conad Jazz Contest: intervista con Paolo Fresu
Parola d’ordine: #interplay
Nuovo ciclo di interviste con i protagonisti del Conad Jazz Contest: iniziamo con un ospite d’eccezione, Paolo Fresu, musicista jazz affermato, membro storico della giuria del Conad Jazz Contest e polistrumentista di fama mondiale. Gli abbiamo chiesto di raccontarci il “suo” modo di vedere il jazz ed il Conad Jazz Contest.
Cosa rappresenta per lei il Jazz? Se dovesse descriverlo con una frase..
Quale è stato il momento in cui lei ha deciso di diventare il musicista che è oggi?
Il jazz è libertà e, perché no, impegno civile. Ho deciso di diventare realmente musicista perché amavo questa libertà e questo impegno. Il giorno esatto? Quando rientrando a Berchidda (il mio piccolo paese sardo dove sono nato e cresciuto) dai piccoli concerti che davo nei piccoli jazz club del continente, i miei concittadini mi chiedevano quando sarei ripartito. Li ho capito di essere, di fatto, diventato un musicista a tutti gli effetti. O meglio, lo avevano deciso gli altri. Era il 1982!
Lei è un membro “storico” della giuria del Conad Jazz Contest. Qual è stata la motivazione iniziale che l’ha spinta ad accettare di essere uno dei giudici Contest e cosa significa per lei far parte della giuria oggi? Cosa rappresenta per lei il Conad Jazz Contest?
Ogni contest è importante nel momento in cui offre la possibilità ai giovani di aprire una finestra sul mondo e si fare sentire e apprezzare la loro musica. Ecco perché ritengo sia importante fare parte della giuria di un contest come quello Conad che peraltro si lega ad una manifestazione festivaliera così importante e prestigiosa come Umbria Jazz.
É necessario mettersi a disposizione dei giovani e mettere in campo tutte le opportunità affinché loro si sentano circondati dall’attenzione degli altri. Ciò è una iniezione di fiducia indipendentemente dal fatto che vinceranno o perderanno il contest nonché una lezione importante.
La giuria Artistica ha il compito di valutare i 10 finalisti ed individuare il vincitore assoluto. Quali sono i suoi personali criteri di giudizio? Cosa deve avere un jazzista per meritare il suo voto?
Il mio voto tiene conto delle capacità strumentali oltre che compositive ma soprattutto della capacità di costruire la musica e di suonare in dialogo e ascolto con gli altri. Oggi tutti suonano bene. Difficile invece parlare e raccontare con la musica.
Quali consigli vorrebbe veicolare ai partecipanti del Contest di quest’anno?
Di concentrarsi su progetti maturi che tengano conto dell’interrelazione musicale e umana. Con una unica parola questo si chiama “interplay” ed è la metafora del jazz per antonomasia.
Essere un jazzista alle prime armi è diverso dall’essere un musicista affermato? Cosa distingue le due fasi della carriera a suo avviso? Come sfruttare al meglio l’occasione del Contest per avviare una carriera da musicista jazz?
Il contest non vuole essere a mio avviso una consacrazione ma una spinta. Non si arriva mai ma c’è sempre un pezzo di strada da percorrere e una nuova porta da aprire. Avviare una carriera significa a mio avviso prendere coscienza dell’impegno dell’essere musicista. Cosa non facile nel mondo odierno perché comporta rinunce e sacrifici oltreché dedizione totale in cambio di gratificazioni enormi. Il musicista alle prime armi deve essere cosciente che, per costruire il futuro palazzo, bisogna scegliere e posare bene le prime pietre. Queste sono lo sviluppo del linguaggio, la personalità del suono, l’architettura del gruppo e le relazioni interne oltre alle capacità improvvisative seppure non è fondamentale che i musicisti siano dei compositori. Tornando alla prima domanda si può essere magnifici leader senza scrivere una nota…